San Francesco, sappiamo, viveva momenti di estasi profonda ed è forse uno dei mistici cristiani giustamente più famosi. Ebbene, San Francesco meditava nello stesso modo in cui lo fanno alcuni monaci di altre vie spirituali.

Lungi da noi voler far di tutta l’erba un fascio. Ma è chiaro che il sentimento e la preghiera di San Francesco, se crediamo a quanto di lui ci è stato trasmesso, sono piuttosto distanti dalla nenie superficiali a cui molti riducono le loro preghiere.

Intensità, devozione e gratitudine sono i tre pilastri su cui un mistico come San Francesco basa la sua preghiera e quindi la sua elevazione spirituale.

In questo c’è unità ad esempio con una delle maggiori scuole di zen: la scuola della pura terra.

È ovvio che l’intensità dell’attenzione è la base dello zen. Senza intensità non c’è zen, non c’è meditazione.

La scuola della pura terra si fonda poi sulla devozione. Questa pratica discente dal buddismo Mahayana e mira a far ricevere la grazia del Budda attraverso la recitazione continua del Suo Nome, in questo caso Amitabha (Amida). La scuola insegna che coloro che recitano in continuazione, con sentimento e intensità, il nome di Amitabha, al termine della loro vita saranno ricevuti dal Buddha troveranno ospitalità in Paradiso. La preghiera ininterrotta è “Nà- mó Ā-mí-tuó fó” che è appunto rendo omaggio, reverenza, devozione al budda Amitabha.

Ora, per coloro hanno qualche familiarità con la preghiera ininterrotta di San Paolo possiamo tradurre: “…insegna che coloro che recitano in continuazione, con sentimento e intensità, il nome di Jesus, al termine della loro vita saranno ricevuti da Jesus troveranno ospitalità in Paradiso.” Non stiamo naturalmente dicendo che Jesus e il Buddha siano la stessa cosa, ma che l’insegnamento è identico.

Tutte le tecniche di meditazione si basano sulla devozione? Certamente no. Ma alcune di quelle che si fondano su di essa sono tra le più efficaci e restituiscono i regali più belli.

Il pilastro più difficile, ma forse anche il più importante è poi quello della gratitudine. Questo sì è comune, in modo diretto o indiretto, in ogni pratica meditativa.

Abbiano già parlato del “rendi grazia ogni giorno” per esempio nella meditazione sui precetti di Mikao Usui. Rendi grazie: ovvero sviluppa umiltà e gratitudine.

Il primo passo per andare avanti in una qualsiasi direzione è essere grati di ciò che si è e di ciò che si ha. Al tempo stesso per rendere grazie dobbiamo diventare umili, non pensare che siamo solo noi che gestiamo la realtà, ma c’è qualche cosa di più grande a cui essere devoti.

Rendere grazie è alla base di qualsiasi sviluppo. È il cuneo su cui far leva. Ogni insegnamento spirituale, che miri alla salvezza o al benessere pone la gratitudine come un gradino fondamentale su cui bisogna salire se si vuole procedere.

All’inizio, quando sviluppi la gratitudine nel tuo cuore, sembra di dover rompere a scalpellate un masso, un guscio di granito pesante come un macigno. Non succede nulla, almeno così sembra. Solo qualche scheggia qui e là, un po’ di frustrazione e qualche delusione. Inizi a pensare “Questa pratica non serve nulla”. Ma con perseveranza si riesce ad aprire uno spiraglio: è sufficiente che dal cuore ne esca una goccia di quella luce interiore perché tu senta una delle più profonde gioie donate all’essere umano.

San Francesco pregava con intensità? Certamente si. Senza intensità non si riuscirebbe a vivere in solitudine, in una grotta, sfamati dal tozzo di pane portato da un falco. E San Francesco pregava con devozione? Certamente si. E la gratitudine?

Ed ecco qui uno dei più grandi poemi ma scritti sulla gratitudine, Il Cantico delle Creature (fonte wikipedia) dettato da San Francesco, cieco e malato, qualche anno prima della sua morte.

Altissimu, onnipotente, bon Signore,

tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual’è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dai sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male.

Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate et serviateli cum grande humilitate

 

Con una sensibilità diversa per esprimere la stessa gioia e gratitudine, un poema Zen recita:

Anche il generale, davanti alle peonie, si tolse l’armatura

che vuol dire: anche la tua parte più dura, quella che combatte contro tutto e tutti, che urla contro le ingiustizie o che lotta per la sopraffazione, quella parte che si rinchiude dentro un guscio per non essere ferita dalla vita, perfino quella parte davanti ad un fiore, davanti alla bellezza della creazione, davanti alla perfezione dei colori, anche quella, colma di ammirazione e stupore si illumina d’immenso.

Quindi, con Meister Eckhart possiamo concludere:

se l’unica preghiera di tutta la tua vita fosse un continuo “grazie”, sarebbe sufficiente.